La crisi dei mercati finanziari internazionali e in particolare di quelli
americani legati ai mutui sub-prime determina nel sistema bancario perdite
tanto gravi da richiedere frequenti salvataggi pubblici per evitare ancora
più pericolosi effetti domino nell'economia mondiale. Un male necessario l'
intervento pubblico, cui però deve far seguito un'inversione di marcia
strutturale per la quale la finanza torni a favorire la produzione di beni e
servizi e in cui il sistema dei cambi possa essere regolato da un nuovo
serpente monetario simile a quello che aiutò le monete europee. Nella crisi
internazionale spicca una crisi italiana. La produzione industriale crolla
(-6,7 a giugno), l'inflazione galoppa riducendo drammaticamente il potere d'
acquisto dei salari già ampiamente erosi, la crescita per il 2008 salirà
poco sopra lo zero e per i prossimi anni intorno all'1-1,2%, molto al di
sotto della media dei Paesi dell'euro. Il tutto aggravato da una stretta
creditizia per la crisi dei mercati finanziari. Senza crescita, nessun
risanamento strutturale dei conti pubblici potrà avvenire, così come è
follia pensare che tagliando la spesa pubblica s'inneschi automaticamente lo
sviluppo. È vero il contrario.
Con un tasso di crescita almeno pari alla media dei Paesi della zona euro di
cui condividiamo il contesto economico e finanziario il rapporto deficit-pil
italiano si ridurrebbe di ½ punto e il taglio della spesa pubblica sarebbe
più agevole e meno traumatico sull'economia reale. Ecco il quadro economico
nazionale, certo peggiore dei nostri partner europei, nei quali la crescita
è rallentata, ma è ancora vicina al 2% e la produttività del lavoro non s'
inabissa come da 15 anni in Italia. Tale differenza dimostra che c'è uno
spazio notevole per l'azione dei governi. Chi dice il contrario cerca solo
un modo per non assumersi le responsabilità di quanto accade nel silenzio
complice di molti. Su questo ribollire di difficoltà il ministro dell'
Economia Tremonti scarica uno tsunami di norme e tagli che non arresterà l'
inflazione, non ridurrà la pressione fiscale, quindi non aiuterà famiglie e
imprese, non rilancerà la crescita e rischia di non risanare i conti
pubblici. Lo dimostra la stessa previsione del governo sul fabbisogno del
settore statale nel secondo semestre di quest'anno. E la scure dei tagli
sulla spesa della pubblica amministrazione, nonostante qualche ripensamento,
metterà in ginocchio polizia e carabinieri, università e ricerca
scientifica, tribunali e ospedali, le forze armate e gli investimenti
pubblici. Ci sembra un taglio senza intelligenza: invece di eliminare gli
sprechi, generalizza, penalizza il presente e rischia di annullare il futuro
di un intero Paese (valga per tutti l'esempio dell'università e della
ricerca il cui accesso viene di fatto bloccato ai giovani ricercatori).
Basta passare per i corridoi di Montecitorio o di Palazzo Madama per
ascoltare analoghe preoccupazioni dai rappresentanti della stessa
maggioranza e anche da molti ministri. Che cosa mai sta accadendo? Un
mistero non facile da spiegare. Tremonti, come disse in un'intervista a
Giovanni Minoli, non si ritiene più un tecnico ma un politico. Se così è,
non può non avere un disegno politico e, visti i suoi provvedimenti nei
quali nessuno può mettere bocca, né Letta né gli altri ministri, dovrà pure
spiegarne la sostanza. Tremonti sa che senza crescita il Paese si frantuma e
se il valore di un sano bilancio dello Stato è fondamentale non si deve
dimenticare che il bilancio è uno strumento al servizio della coesione
sociale, dello sviluppo e del funzionamento della macchina pubblica in uno
Stato di diritto. Se così non fosse sarebbe il Paese a decadere
ulteriormente. Tremonti sa tutte queste cose ma forse sta giocando una
partita politica personale i cui contorni ancora ci sfuggono e dimentica che
una drammatizzazione sociale può aprire le porte a una stagione autoritaria
peraltro già ampiamente avviata.